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Scuola di Psicoterapia Cognitiva Santagostino
Orientamento teorico-scientifico e clinico
Bibliografia
Docenti
Organizzazione della didattica
Piano di studi
Informazioni pratiche e organizzative
Supervisione, formazione esperienziale e tirocini
Orientamento teorico-scientifico e clinico
L’orientamento scientifico-didattico dell'Istituto "Scuola di Psicoterapia Cognitiva Santagostino" si basa sugli sviluppi più recenti e aggiornati della terapia cognitivo-comportamentale, che deriva dalla tradizionale terapia del comportamento, nata negli anni ’50 e che si è imposta fin dal principio come una delle terapie più in grado di fornire risposte rapide ed efficaci alle nuove forme di sofferenza (Moderato, 2002).
L'approccio cognitivo-comportamentale odierno è il frutto di una lunga storia che ha inizio con la rivoluzione comportamentista dell'inizio del XX secolo e si arricchisce negli anni 60 con l'avvento del cognitivismo, fino ad arrivare agli odierni paradigmi della cosiddetta terza generazione. Storicamente, infatti, la terapia comportamentale può essere suddivisa in tre generazioni, intendendo per generazione l’insieme delle assunzioni dominanti, dei metodi e degli obiettivi che aiutano ad organizzare la ricerca, la teoria e la pratica del modello terapeutico.
La prima generazione aveva rappresentato, in parte, una ribellione alle concezioni cliniche prevalenti dell’epoca di matrice psicoanalitica e i primi terapeuti si erano focalizzati direttamente sulla riduzione dei comportamenti problematici manifesti, mediante tecniche e procedure terapeutiche fondate su principi di apprendimento scientifici, ben specificati e rigorosamente validati. Nel caso, ad esempio, di un individuo con ansia sociale, che tendesse a evitare una o più situazioni in cui poteva essere oggetto di valutazione o critica altrui, aumentare il tempo di esposizione alle situazioni sociali, o decondizionare l’ansia relativa alle stesse, rappresentava l’obiettivo principale del trattamento. Il quadro di riferimento teorico era dato dall’insieme della psicologia sperimentale dell’epoca, con particolare riferimento al contributo della psicologia del comportamento. Con l’avvento del cognitivismo, nello scenario della psicologia generale inizia a emergere un cambiamento paradigmatico che porta allo sviluppo della seconda generazione della terapia del comportamento. Il concetto associativo di apprendimento viene abbandonato, per lasciare spazio a più flessibili principi mediazionali, che tengano in debita considerazione il ruolo delle esperienze interne (pensieri e sentimenti) nel determinare il comportamento umano. La persona è, prima di tutto, un essere pensante, in grado di organizzare il proprio comportamento e di modificarlo in base alle circostanze (Bandura, 1969). Lo studio dei pensieri irrazionali (Ellis, 1962, 1977) e degli schemi cognitivi patogeni (Beck, 1976, 1993; Beck & Freeman, 1990) permette di identificare come certi errori cognitivi possano essere prerogative di particolari tipologie di pazienti e come, per ognuna di queste, esista una varietà di tecniche finalizzate a modificare i pensieri automatici negativi e gli schemi cognitivi di riferimento.
Rifacendosi all’esempio precedente dell’individuo con ansia sociale, gli obiettivi di esposizione in situazioni sociali, o di diminuzione dell’ansia relativamente a quelle stesse situazioni, sono estesi a mettere in discussione schemi cognitivi e prodotti cognitivi connessi sia alla reazione che al giudizio degli altri. È proprio dall’integrazione tra le prime due generazioni della terapia comportamentale che nasce il concetto di psicoterapia cognitivo-comportamentale, caratterizzata da un insieme di interventi psicoterapeutici ed educativi articolati, in cui confluiscono procedure mirate alla modificazione non solo dei comportamenti manifesti, ma anche delle convinzioni, degli atteggiamenti, degli stili cognitivi e delle aspettative del soggetto (Galeazzi & Meazzini, 2004). La terza generazione della psicoterapia cognitivo-comportamentale pone l’enfasi sulle strategie di cambiamento contestuali ed esperienziali, che modificano la funzione degli eventi psicologici, senza intervenire sulla loro forma. La filosofia sottostante agli approcci di terza generazione è il cosiddetto contestualismo funzionale, che opera uno spostamento di attenzione dai contenuti ai processi mentali e rivolge una considerazione particolare alla libertà di scelta e al perseguimento dei “valori personali” dei pazienti (Hayes, Strosahl & Wilson, 1999; Hayes, 2004; Hayes et al., 2006). Questi, infatti, sono incoraggiati ad abbandonare ogni interesse nei confronti della verità dei propri pensieri e a dedicarsi alla realizzazione dei propri scopi vitali. È da qui che prende origine un atteggiamento di apertura e di accettazione nei confronti degli eventi psicologici, anche se negativi dal punto di vista del contenuto, come opportunità per vivere appieno la propria vita.
L’emergere del costruttivismo clinico (Kelly, 1955; Maturana, 1993; Maturana & Varela, 1980) e delle teorie cognitive post-razionaliste (Guidano, 1987; 1991), inoltre, ha indebolito l’idea che le teorie scientifiche identifichino parti elementari della realtà, da organizzare poi in modelli esplicativi (Hayes, Hayes, Reese & Sarbin, 1993). Questi cambiamenti nella filosofia della scienza, dunque, hanno gradualmente osteggiato la posizione meccanicistica, propria della prima e seconda generazione della terapia del comportamento, e delle loro sottostanti teorie, in favore di un approccio più contestuale (Moore, 2000). L’enfasi nei confronti del processo e della funzione, piuttosto che del contenuto, è in linea con ciò che caratterizza la terza generazione delle terapie cognitivo-comportamentali, che comprende, come ha descritto Hayes (2004; 2015): l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Terapia Dialettico- Comportamentale (DBT; Linehan, 1993a, 1993b; Linehan et al., 2015), la Psicoterapia Analitico-Funzionale (FAP; Kohlenberg &Tsai, 2012), la Terapia Comportamentale Integrata di Coppia (IBCT; Jacobson & Christensen, 1996; Jacobson et al., 2000), la Terapia Cognitiva Basata sulla Mindfulness (MBCT; Segal, Williams & Teasdale, 2003; Barnhofer et. al, 2015) e la Terapia Metacognitiva (Wells, 2009). Negli ultimi anni, le tecniche cognitive e comportamentali originarie sono state dunque integrate con strategie derivate dalle tradizioni filosofiche orientali, quali quelle della Mindfulness, e da strategie dialettiche, finalizzate all’accettazione, alla validazione e alla regolazione delle emozioni, dedicando sempre più attenzione al potenziamento delle abilità metacognitive del paziente, al fine di poter modificare la qualità delle sue relazioni interpersonali, oltre alla sua capacità di adattamento e di “flessibilità psicologica”.
La terapia cognitivo-comportamentale, inoltre, si è da sempre interessata del trattamento delle principali sindromi cliniche, trascurando, in una prima fase, le problematiche connesse alla struttura di personalità. Recentemente, anche in ambito cognitivo-comportamentale, clinici e ricercatori si sono interessati alla comprensione dei meccanismi psicopatologici implicati nell’eziopatogenesi e nel mantenimento dei disturbi di personalità e sono state proposte nuove forme di trattamento specificatamente mirate a queste complesse problematiche. Tra queste, la Schema Therapy di Young e collaboratori (2003; Van Vreeswijk et al., 2015) si presenta come un approccio sistematico, organizzato e metodico per il trattamento dei pazienti con disturbi della personalità o con una grande resistenza al cambiamento, che colma alcune lacune del modello cognitivista attraverso l’integrazione di contributi derivati da altre teorie, come la teoria dell’attaccamento, la teoria della Gestalt, quella psicodinamica e il comportamentismo. Altri importanti contributi, in relazione ai disturbi di personalità, sono quello della Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT; Linehan, 1993a, 1993b; Linehan et al., 2015), approccio specifico e di dimostrata efficacia per il disturbo borderline di personalità, quello della Terapia Metacognitivo-Interpersonale (Dimaggio & Semerari, 2003; Carcione, Nicolò e Semerari 2016), primariamente volto a intervenire sui deficit metacognitivi e sui cicli interpersonali problematici dei pazienti affetti da disturbo della personalità, e quello della Terapia Basata sulla Mentalizzazione (Bateman & Fonagy, 2006), che, pur partendo da un’impostazione psicodinamica, mira a ridurre i deficit metacognitivi del paziente. Da un’attenta analisi delle linee-guida stilate dall’APA (Practice Guidelines, consultabili sul sito http://psychiatryonline.org/guidelines) emerge come la psicoterapia cognitivo comportamentale, con le sue diverse tecniche e strategie, rappresenti ad oggi il trattamento di prima scelta, da consigliare al paziente come primo ed elettivo intervento, per molti disturbi psichiatrici. Nel corso degli anni molti studi hanno dimostrato l'efficacia dei protocolli di trattamento cognitivo comportamentale. Ad esempio, solo per citare i alcuni dei più recenti, in relazione al trattamento dei sintomi dei disturbi d'ansia (Zalta, 2011; Thoma, 2015), del disturbo di panico (Cuijpers et al.,2016; Hofmann, Rief; Spiegel, 2010; Hofman et al., 2012; Otto et al., 2010; Pincus et al., 2010; Schmidt & Keough, 2010), del disturbo ossessivo-compulsivo (McKay et al.,2015; Jònsson et al., 2015; Frost, 2010; Jaurrieta et al., 2008; Storch et al., 2008), della fobia sociale (Cuijpers et al.,2016; Stangier et al., 2011; Beidel, Turner & Young, 2006; Clark et al., 2003; McManus et al., 2009), della depressione (Cuijpers et al.,2016; DeRubeis et al., 2005; Hollon, 2011; Hans e Hiller, 2013), dei disturbi alimentari (Turner et al., 2015; Agras et al., 2000; Bowers & Andersen, 2009; Schlup et al., 2009; Wilson, Grilo & Vitousek, 2007; Wilson, Wilfley, Agras & Bryson, 2010; Grilo e al., 2011), dei disturbi somatoformi (Cooper et al.,2017; Veale et al., 2014; Allen & Woolfolk, 2010) e dei disturbi di personalità (Alexis et al., 2010; Davison et al., 2006; Beck & Freeman, 1990; Carcione, Nicolò e Semerari 2016, Dimaggio & Semerari, 2003; Semerari, 1999; Young, 1990; Young, Klosko & Weishaar, 2003). Anche le terapie della cosiddetta terza generazione sono state sottoposte a studi di efficacia. Per esempio, la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) ha dimostrato la sua utilità nel trattamento dei disturbi della personalità (van den Boschet al., 2014; Panos et al., 2013; Feigenbaum, 2007; Harned, Jackson, Comtois & Linehan, 2010; Nee & Farman, 2005; Steil et al., 2011); la Terapia Cognitiva Basata sulla Mindfulness (MBCT) ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento e nella prevenzione delle ricadute dei disturbi dell’umore (Kishita et al., 2016; Hollon & Ponniah, 2010; Kingston et al., 2007; Splevins, Smith & Simpson, 2009; Van Aalderen et al., 2012; Coelho et al., 2013) e l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) nel trattamento di diversi disturbi di asse I (Kishita et al., 2016; Kansas & McDonald, 2011; Kohl et al., 2012). Inoltre, la terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata ben applicabile a specifiche popolazioni, come ad esempio gli anziani (Hall et al., 2017; Howard et al., 2010; Turner, Steketee & Nauth, 2010; Gould, Coulson & Howard, 2012), i pazienti con danni cerebrali (Ponsford et al., 2016; Doering & Exner, 2011; Arundine et al., 2012), i pazienti oncologici (Xiao et al., 2017; McKiernan, Steggles, Guerin & Carr, 2009; Duijts et al., 2012) e le popolazioni rurali (Milgrom et al., 2016; Crowther, Scogin & Norton, 2010). Infine, le terapie di approccio cognitivo-comportamentale sono state applicate in diversi setting, come quelli di coppia, di gruppo o familiare.
Particolare importanza ha l'approccio cognitivo comportamentale in età evolutiva. La visione scientifica più moderna, cui esso aderisce, considera i problemi vissuti dai soggetti in età evolutiva in una visione sistemica. Ciò significa che il bambino e l’adolescente interagiscono con differenti ambienti di vita, la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e la società, e che da questi ricevono influenze e, a sua volta, contribuiscono ad influenzarli. È per questo che il lavoro con i bambini viene spesso affiancato al lavoro con gli adulti, attraverso training informativi e formativi rivolti ai genitori e alle altre figure di riferimento; in quest’ottica, la caratteristica psicoeducazionale della terapia cognitivo-comportamentale risulta essere fondamentale.
Numerose sono le ricerche che dimostrano l’alto livello di efficacia e di specificità della psicoterapia cognitivo-comportamentale nelle problematiche sia dei bambini che degli adolescenti (Higa-McMillan et al., 2016; Graham & Reynolds, 2013; Creswell & Waite, 2009; Micco et al., 2008; Piacentini, 2008). Ad esempio, essa costituisce il trattamento d’elezione nella prevenzione e nella cura dei sintomi dei disturbi d'ansia e della fobia sociale (Spence et al., 2016; Breinholst et al., 2012; Khanna & Kendall, 2010; Melfsen et al., 2011; van der Leeden et al., 2011), ossessivo-compulsivo (Yanqiu et al., 2016; Mancini, 2016; Olatunji et al., 2013; Barrett et al., 2008; Freeman, Garcia & Coyne, 2008; Kircanski, Peris & Piacentini, 2011, Mancini et al 2006), della depressione (Charkhandeh et al., 2016; Alavi et al., 2013; Michelmore, 2011; Verduyn, 2011), dei disturbi alimentari (Cowdrey et al., 2016; Goldfield, Raynor & Epstein, 2002; Gowers & Green, 2009; Jones et al., 2008; Wilfley, Kolko & Kass, 2011) e dei disturbi dell’apprendimento (Doyle & Terjesen, 2006; Ek et al. 2004; Lickel, 2011). Infine, il trattamento farmacologico abbinato a quello cognitivo-comportamentale è risultato il metodo più efficace per la cura del disturbo da deficit d'attenzione e iperattività (Sprich et al., 2016; Abdollahian et al., 2013; Frazier, Youngstrom, Glutting & Watkins, 2007; Knouse & Safren, 2010; Roman, 2010; Verreault & Berthiaume, 2010) e dell’autismo (Luxford et al., 2016; Koning et al., 2013; Lang et al., 2010; McNally Keehn, 2011), soprattutto se associato all’intervento sui familiari.
L'approccio cognitivo-comportamentale odierno è il frutto di una lunga storia che ha inizio con la rivoluzione comportamentista dell'inizio del XX secolo e si arricchisce negli anni 60 con l'avvento del cognitivismo, fino ad arrivare agli odierni paradigmi della cosiddetta terza generazione. Storicamente, infatti, la terapia comportamentale può essere suddivisa in tre generazioni, intendendo per generazione l’insieme delle assunzioni dominanti, dei metodi e degli obiettivi che aiutano ad organizzare la ricerca, la teoria e la pratica del modello terapeutico.
La prima generazione aveva rappresentato, in parte, una ribellione alle concezioni cliniche prevalenti dell’epoca di matrice psicoanalitica e i primi terapeuti si erano focalizzati direttamente sulla riduzione dei comportamenti problematici manifesti, mediante tecniche e procedure terapeutiche fondate su principi di apprendimento scientifici, ben specificati e rigorosamente validati. Nel caso, ad esempio, di un individuo con ansia sociale, che tendesse a evitare una o più situazioni in cui poteva essere oggetto di valutazione o critica altrui, aumentare il tempo di esposizione alle situazioni sociali, o decondizionare l’ansia relativa alle stesse, rappresentava l’obiettivo principale del trattamento. Il quadro di riferimento teorico era dato dall’insieme della psicologia sperimentale dell’epoca, con particolare riferimento al contributo della psicologia del comportamento. Con l’avvento del cognitivismo, nello scenario della psicologia generale inizia a emergere un cambiamento paradigmatico che porta allo sviluppo della seconda generazione della terapia del comportamento. Il concetto associativo di apprendimento viene abbandonato, per lasciare spazio a più flessibili principi mediazionali, che tengano in debita considerazione il ruolo delle esperienze interne (pensieri e sentimenti) nel determinare il comportamento umano. La persona è, prima di tutto, un essere pensante, in grado di organizzare il proprio comportamento e di modificarlo in base alle circostanze (Bandura, 1969). Lo studio dei pensieri irrazionali (Ellis, 1962, 1977) e degli schemi cognitivi patogeni (Beck, 1976, 1993; Beck & Freeman, 1990) permette di identificare come certi errori cognitivi possano essere prerogative di particolari tipologie di pazienti e come, per ognuna di queste, esista una varietà di tecniche finalizzate a modificare i pensieri automatici negativi e gli schemi cognitivi di riferimento.
Rifacendosi all’esempio precedente dell’individuo con ansia sociale, gli obiettivi di esposizione in situazioni sociali, o di diminuzione dell’ansia relativamente a quelle stesse situazioni, sono estesi a mettere in discussione schemi cognitivi e prodotti cognitivi connessi sia alla reazione che al giudizio degli altri. È proprio dall’integrazione tra le prime due generazioni della terapia comportamentale che nasce il concetto di psicoterapia cognitivo-comportamentale, caratterizzata da un insieme di interventi psicoterapeutici ed educativi articolati, in cui confluiscono procedure mirate alla modificazione non solo dei comportamenti manifesti, ma anche delle convinzioni, degli atteggiamenti, degli stili cognitivi e delle aspettative del soggetto (Galeazzi & Meazzini, 2004). La terza generazione della psicoterapia cognitivo-comportamentale pone l’enfasi sulle strategie di cambiamento contestuali ed esperienziali, che modificano la funzione degli eventi psicologici, senza intervenire sulla loro forma. La filosofia sottostante agli approcci di terza generazione è il cosiddetto contestualismo funzionale, che opera uno spostamento di attenzione dai contenuti ai processi mentali e rivolge una considerazione particolare alla libertà di scelta e al perseguimento dei “valori personali” dei pazienti (Hayes, Strosahl & Wilson, 1999; Hayes, 2004; Hayes et al., 2006). Questi, infatti, sono incoraggiati ad abbandonare ogni interesse nei confronti della verità dei propri pensieri e a dedicarsi alla realizzazione dei propri scopi vitali. È da qui che prende origine un atteggiamento di apertura e di accettazione nei confronti degli eventi psicologici, anche se negativi dal punto di vista del contenuto, come opportunità per vivere appieno la propria vita.
L’emergere del costruttivismo clinico (Kelly, 1955; Maturana, 1993; Maturana & Varela, 1980) e delle teorie cognitive post-razionaliste (Guidano, 1987; 1991), inoltre, ha indebolito l’idea che le teorie scientifiche identifichino parti elementari della realtà, da organizzare poi in modelli esplicativi (Hayes, Hayes, Reese & Sarbin, 1993). Questi cambiamenti nella filosofia della scienza, dunque, hanno gradualmente osteggiato la posizione meccanicistica, propria della prima e seconda generazione della terapia del comportamento, e delle loro sottostanti teorie, in favore di un approccio più contestuale (Moore, 2000). L’enfasi nei confronti del processo e della funzione, piuttosto che del contenuto, è in linea con ciò che caratterizza la terza generazione delle terapie cognitivo-comportamentali, che comprende, come ha descritto Hayes (2004; 2015): l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Terapia Dialettico- Comportamentale (DBT; Linehan, 1993a, 1993b; Linehan et al., 2015), la Psicoterapia Analitico-Funzionale (FAP; Kohlenberg &Tsai, 2012), la Terapia Comportamentale Integrata di Coppia (IBCT; Jacobson & Christensen, 1996; Jacobson et al., 2000), la Terapia Cognitiva Basata sulla Mindfulness (MBCT; Segal, Williams & Teasdale, 2003; Barnhofer et. al, 2015) e la Terapia Metacognitiva (Wells, 2009). Negli ultimi anni, le tecniche cognitive e comportamentali originarie sono state dunque integrate con strategie derivate dalle tradizioni filosofiche orientali, quali quelle della Mindfulness, e da strategie dialettiche, finalizzate all’accettazione, alla validazione e alla regolazione delle emozioni, dedicando sempre più attenzione al potenziamento delle abilità metacognitive del paziente, al fine di poter modificare la qualità delle sue relazioni interpersonali, oltre alla sua capacità di adattamento e di “flessibilità psicologica”.
La terapia cognitivo-comportamentale, inoltre, si è da sempre interessata del trattamento delle principali sindromi cliniche, trascurando, in una prima fase, le problematiche connesse alla struttura di personalità. Recentemente, anche in ambito cognitivo-comportamentale, clinici e ricercatori si sono interessati alla comprensione dei meccanismi psicopatologici implicati nell’eziopatogenesi e nel mantenimento dei disturbi di personalità e sono state proposte nuove forme di trattamento specificatamente mirate a queste complesse problematiche. Tra queste, la Schema Therapy di Young e collaboratori (2003; Van Vreeswijk et al., 2015) si presenta come un approccio sistematico, organizzato e metodico per il trattamento dei pazienti con disturbi della personalità o con una grande resistenza al cambiamento, che colma alcune lacune del modello cognitivista attraverso l’integrazione di contributi derivati da altre teorie, come la teoria dell’attaccamento, la teoria della Gestalt, quella psicodinamica e il comportamentismo. Altri importanti contributi, in relazione ai disturbi di personalità, sono quello della Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT; Linehan, 1993a, 1993b; Linehan et al., 2015), approccio specifico e di dimostrata efficacia per il disturbo borderline di personalità, quello della Terapia Metacognitivo-Interpersonale (Dimaggio & Semerari, 2003; Carcione, Nicolò e Semerari 2016), primariamente volto a intervenire sui deficit metacognitivi e sui cicli interpersonali problematici dei pazienti affetti da disturbo della personalità, e quello della Terapia Basata sulla Mentalizzazione (Bateman & Fonagy, 2006), che, pur partendo da un’impostazione psicodinamica, mira a ridurre i deficit metacognitivi del paziente. Da un’attenta analisi delle linee-guida stilate dall’APA (Practice Guidelines, consultabili sul sito http://psychiatryonline.org/guidelines) emerge come la psicoterapia cognitivo comportamentale, con le sue diverse tecniche e strategie, rappresenti ad oggi il trattamento di prima scelta, da consigliare al paziente come primo ed elettivo intervento, per molti disturbi psichiatrici. Nel corso degli anni molti studi hanno dimostrato l'efficacia dei protocolli di trattamento cognitivo comportamentale. Ad esempio, solo per citare i alcuni dei più recenti, in relazione al trattamento dei sintomi dei disturbi d'ansia (Zalta, 2011; Thoma, 2015), del disturbo di panico (Cuijpers et al.,2016; Hofmann, Rief; Spiegel, 2010; Hofman et al., 2012; Otto et al., 2010; Pincus et al., 2010; Schmidt & Keough, 2010), del disturbo ossessivo-compulsivo (McKay et al.,2015; Jònsson et al., 2015; Frost, 2010; Jaurrieta et al., 2008; Storch et al., 2008), della fobia sociale (Cuijpers et al.,2016; Stangier et al., 2011; Beidel, Turner & Young, 2006; Clark et al., 2003; McManus et al., 2009), della depressione (Cuijpers et al.,2016; DeRubeis et al., 2005; Hollon, 2011; Hans e Hiller, 2013), dei disturbi alimentari (Turner et al., 2015; Agras et al., 2000; Bowers & Andersen, 2009; Schlup et al., 2009; Wilson, Grilo & Vitousek, 2007; Wilson, Wilfley, Agras & Bryson, 2010; Grilo e al., 2011), dei disturbi somatoformi (Cooper et al.,2017; Veale et al., 2014; Allen & Woolfolk, 2010) e dei disturbi di personalità (Alexis et al., 2010; Davison et al., 2006; Beck & Freeman, 1990; Carcione, Nicolò e Semerari 2016, Dimaggio & Semerari, 2003; Semerari, 1999; Young, 1990; Young, Klosko & Weishaar, 2003). Anche le terapie della cosiddetta terza generazione sono state sottoposte a studi di efficacia. Per esempio, la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT) ha dimostrato la sua utilità nel trattamento dei disturbi della personalità (van den Boschet al., 2014; Panos et al., 2013; Feigenbaum, 2007; Harned, Jackson, Comtois & Linehan, 2010; Nee & Farman, 2005; Steil et al., 2011); la Terapia Cognitiva Basata sulla Mindfulness (MBCT) ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento e nella prevenzione delle ricadute dei disturbi dell’umore (Kishita et al., 2016; Hollon & Ponniah, 2010; Kingston et al., 2007; Splevins, Smith & Simpson, 2009; Van Aalderen et al., 2012; Coelho et al., 2013) e l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) nel trattamento di diversi disturbi di asse I (Kishita et al., 2016; Kansas & McDonald, 2011; Kohl et al., 2012). Inoltre, la terapia cognitivo-comportamentale si è dimostrata ben applicabile a specifiche popolazioni, come ad esempio gli anziani (Hall et al., 2017; Howard et al., 2010; Turner, Steketee & Nauth, 2010; Gould, Coulson & Howard, 2012), i pazienti con danni cerebrali (Ponsford et al., 2016; Doering & Exner, 2011; Arundine et al., 2012), i pazienti oncologici (Xiao et al., 2017; McKiernan, Steggles, Guerin & Carr, 2009; Duijts et al., 2012) e le popolazioni rurali (Milgrom et al., 2016; Crowther, Scogin & Norton, 2010). Infine, le terapie di approccio cognitivo-comportamentale sono state applicate in diversi setting, come quelli di coppia, di gruppo o familiare.
Particolare importanza ha l'approccio cognitivo comportamentale in età evolutiva. La visione scientifica più moderna, cui esso aderisce, considera i problemi vissuti dai soggetti in età evolutiva in una visione sistemica. Ciò significa che il bambino e l’adolescente interagiscono con differenti ambienti di vita, la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e la società, e che da questi ricevono influenze e, a sua volta, contribuiscono ad influenzarli. È per questo che il lavoro con i bambini viene spesso affiancato al lavoro con gli adulti, attraverso training informativi e formativi rivolti ai genitori e alle altre figure di riferimento; in quest’ottica, la caratteristica psicoeducazionale della terapia cognitivo-comportamentale risulta essere fondamentale.
Numerose sono le ricerche che dimostrano l’alto livello di efficacia e di specificità della psicoterapia cognitivo-comportamentale nelle problematiche sia dei bambini che degli adolescenti (Higa-McMillan et al., 2016; Graham & Reynolds, 2013; Creswell & Waite, 2009; Micco et al., 2008; Piacentini, 2008). Ad esempio, essa costituisce il trattamento d’elezione nella prevenzione e nella cura dei sintomi dei disturbi d'ansia e della fobia sociale (Spence et al., 2016; Breinholst et al., 2012; Khanna & Kendall, 2010; Melfsen et al., 2011; van der Leeden et al., 2011), ossessivo-compulsivo (Yanqiu et al., 2016; Mancini, 2016; Olatunji et al., 2013; Barrett et al., 2008; Freeman, Garcia & Coyne, 2008; Kircanski, Peris & Piacentini, 2011, Mancini et al 2006), della depressione (Charkhandeh et al., 2016; Alavi et al., 2013; Michelmore, 2011; Verduyn, 2011), dei disturbi alimentari (Cowdrey et al., 2016; Goldfield, Raynor & Epstein, 2002; Gowers & Green, 2009; Jones et al., 2008; Wilfley, Kolko & Kass, 2011) e dei disturbi dell’apprendimento (Doyle & Terjesen, 2006; Ek et al. 2004; Lickel, 2011). Infine, il trattamento farmacologico abbinato a quello cognitivo-comportamentale è risultato il metodo più efficace per la cura del disturbo da deficit d'attenzione e iperattività (Sprich et al., 2016; Abdollahian et al., 2013; Frazier, Youngstrom, Glutting & Watkins, 2007; Knouse & Safren, 2010; Roman, 2010; Verreault & Berthiaume, 2010) e dell’autismo (Luxford et al., 2016; Koning et al., 2013; Lang et al., 2010; McNally Keehn, 2011), soprattutto se associato all’intervento sui familiari.
OrientamentoCognitivo-comportamentale
DirettoreMichele Cucchi
Anno di riconoscimento MIUR2019
Affiliazione a Società Scientifiche-
IndirizzoVia Panfilo Castaldi, 6 - 20124 Milano
Sito webhttps://www.spcsantagostino.it/
Telefono-
Fax-
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