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29/01/2016
L’ ombra della storia e i riti collettivi: due serate lontanissime e contigue, alla Casa della Psicologia
immagine articolo L’ ombra della storia e i riti collettivi: due serate lontanissime e contigue, alla Casa della Psicologia Il caso ha voluto che l’anno 2016 iniziasse, alla Casa della Psicologia, con due serate di cultura psicologica apparentemente lontanissime, ma la cui contiguità ha forse permesso di mostrare quanto profondo e quanto importante possa essere lo sguardo psicologico sulle cose umane, se si applica il metodo delle libere associazioni.

La prima serata, il 26 Gennaio, ha visto la ripartenza del progetto di presentazione di libri scritti da psicologi, che possono avere impatto sulla vita collettiva, sulla città, sulla società in generale. Abbiamo voluto aprire l’anno con un testo dedicato alla ritualità del tempo ciclico, interrogando uno dei riti più misteriosi e arcaici che ancora trovano uno spazio nel nostro mondo globalizzato: il Carnevale. A partire dalle ricerche psicoanalitiche ed etnopsicologiche dell’autore dei due saggi (“Carnevale e psiche” e “Carna, il carnevale delle donne”, dello psicoanalista Junghiano Pier Pietro Brunelli), abbiamo esplorato in profondità la complessità dei simboli e degli archetipi cui questi simboli - diversi da cultura a cultura -  rimandano. Con l’aiuto del discussant, etnopsicologo e psicoanalista junghiano, dott. Maurizio Romanò, abbiamo anche dato uno sguardo agli aspetti inquietanti che nella modernità ritornano, quando si perde il senso del rito apotropaico e della sua grande carica integrativa.

Abbiamo quindi accennato ai fatti di Colonia, a come oggi, i momenti di festa collettiva, l’allentamento dei doveri e dei vincoli sociali, rimandino più che altro al terrore, all’impossibilità di incontrare l’Altro se non a partire dalle coordinate della paura. Dal Carnevale, dunque, e dalla sua funzione di integrazione delle Ombre, dal suo essere visto anche come un “sogno collettivo”, un incubo, anche, dove però le ombre e i “mostri” vengono condivisi, volgendo nel loro opposto, e rimandando al fondo della comune umanità, fragilità, bisogno di legame e di affetto, siamo passati, nel giro di una sola giornata, a celebrare la “giornata della memoria”. Memoria dell’Olocausto, dove le Ombre, non elaborate, si sono incarnate e realizzate nell’atroce epilogo dei campi di sterminio.

La serata del 27 Gennaio è stata un altissimo momento di cultura e di memoria, un momento di elaborazione collettiva, peraltro non priva di momenti di spiccata e stupenda comicità, a dimostrazione che questi due momenti – l’elaborazione del’Ombra e il ridere di Sé – costituiscono strumenti, vere e proprie chiavi di volta per un trattamento, per una cura di sé ma anche del legame sociale, trattamento sul quale la psicologia e la psicoanalisi in particolare, hanno moltissimo da offrire.

Silvia Vegetti Finzi ha chiuso il suo bellissimo, toccante intervento di presentazione del suo libro autobiografico, “La bambina senza stella”, dicendo che certamente le storie che lei ha vissuto, come quelle di tutti i sopravvissuti alla shoah, non cessano di meravigliarci, ma ha aggiunto che ogni psicologo, nel suo studio, da dietro al lettino o dalla sua poltrona, ascolta storie incredibili, di resilienza e di risorse, di sofferenze e di oppressioni. Elaborare una storia, sia individuale che collettiva, significa dunque da una parte attraversarla in tutta la sua unicità, ma dall’altra ritrovarne la radice comune, le scansioni che poi sono proprie ad ogni esperienza umana di accettazione della fragilità, di riconoscimento della propria unicità, pur nell’assimilazione dell’Altro, inteso come Altro dell’amore ma anche della cultura. Nessuno si nomina da solo, così come nessuno è libero dalle Ombre, dagli incubi, dai sogni più inconfessabili, spaventosi ma anche comici, che possono facilmente virare, se condivisi, accolti, nell’ilarità e nella gioia, gioia del riconoscersi nella comune condizione umana.

Un meraviglioso sogno, di una paziente del dott. Romanò, è stato poi offerto alla platea, sogno nel quale riecheggiavano le paure di Colonia, il conflitto fra maschile e femminile, la guerra “a pezzi” cui Papa Francesco fa spesso, accoratamente riferimento, come è stato ricordato anche nella serata dedicata alla memoria, come sfondo di un’attualità che certo non può che essere sempre presente. In questo sogno la sognatrice si vedeva sola, in una piazza di una città tedesca, di notte e riusciva a non fermarsi alla dimensione della paura, pur sentendosi accerchiata da uomini minacciosi, che parlavano l’arabo, una lingua a lei incomprensibile; vi era, nel sogno, l’apertura, l’indicazione di una via possibile al dialogo, incarnato in un’amica della sognatrice, realmente esistente, di nome Alma (L’anima Junghiana…), che la interrogava, e le diceva “Cosa c’è? cos’hai?”. Questa interrogazione dell’amica Alma, permette alla sognatrice di stare sulla sua emozione, di non cortocircuitare sulla paura, sulla reazione istintuale “attacco-fuga”, e il sogno si apre al  dialogo, dialogo  che può partire solamente se non si aggira e non si disconosce il nostro bisogno di comprendere e di comprendersi, o almeno di provare a chiedersi cosa l’Altro può volere, in un riconoscimento dell’umanità che c’è in tutti noi, laddove, senza questo riconoscimento, solo i fantasmi predatori e le ombre, finiscono per avere la meglio. Due serate in cui ben si è visto come il paradigma della soggettività sia profondamente implicato e implicante la dimensione collettiva.
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