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06/04/2017
L’immagine si può prescrivere?
immagine articolo L’immagine si può prescrivere? Presentazione dei libri di Arrighi, Guerrini e Gilli alla Casa della Psicologia.

La primavera si è aperta, per il progetto “presentazione libri” alla Casa della Psicologia, con due testi decisamente originali. Divergenti fra loro, anche se entrambi trattano di immagine. Immagine cinematografica, per il testo di Andrea Arrighi “La soluzione trascurata” e immagine fotografica, per il testo “Oltre l’immagine. Inconscio e fotografia”, a cura di Sara Guerrini e Gabriella Gilli, presentato da due delle autrici, Francesca Belgiojoso e Chiara Gusmani.

Divergenti fra loro perché trattano della possibilità di avvicinare l’immagine al percorso terapeutico, o iniziatico o sapienziale, volendo, in modo molto diverso. Originali anche rispetto alla consuetudine con cui il tema dell’immagine è trattato, in ambito professionale.

Entrambi i testi, come ha ben sottolineato il discussant Pietro Roberto Goisis, che è stato in grado di offrire all’uditorio una prospettiva possibile di lettura dei due testi a partire da una prospettiva comune, fanno infatti un giro largo, rispetto all’uso dell’immagine, che solo in seconda battuta, e potremmo dire après coup, può riguardare il campo applicativo.

Il viaggio delle dottoresse Belgiojoso e Gusmani è un viaggio nel mondo immaginario di tre straordinari artisti, tre giganti della fotografia, che offrono le loro immagini allo sguardo attento e rispettoso, ma non per questo meno profondo e tagliente, delle psicologhe, che rintracciano e ricostruiscono insieme a loro le tematiche esistenziali, biografiche, che si intrecciano e parassitano il lavoro fotografico.

Le due psicologhe ci hanno dato un assaggio del lavoro di tre artisti, fra i tanti con i quali hanno dialogato nella costruzione del testo. Il lavoro di Phil Toledano, che ha seguito con l’obiettivo la malattia e il lento decadimento del padre, malato di Alzheimer, fino alla fine della sua vita. Un “reportage” intimistico, durato alcuni anni, durante il quale il fotografo immagina, allucina anche, la propria vecchiaia e la propria fine. Phil anziano e caduto in povertà, solo con il suo cagnolino, o Phil anziano “hippy”, sopra le righe, un po’ patetico con i suoi gilet sgargianti di paillettes e i suoi occhialoni scuri, ma forse meno angosciato, in un alternarsi di ritratti del padre anziano e di un sé camuffato, travestito, immaginato in un futuro che egli cerca di sdrammatizzare o di esorcizzare. Una macchina fotografica, uno sguardo, quindi, che è nello stesso tempo occhio e velo, reportage e sogno, dialogo ma anche sasso gettato nello stagno di un futuro che per definizione ignoriamo, e soprattutto ci ignora.

Le due autrici ci hanno poi mostrato il lavoro struggente di Moira Ricci “20.12.53 - 10.08.04”, che consiste in decine e decine di collage e montaggi perfetti, in cui l’artista si “ritaglia” uno spazio accanto alla madre, della cui morte non riesce a darsi pace. Le fotografie della madre ritratta sempre negli anni floridi della giovinezza, con scenari casalinghi degli anni ’60, o più ardimentosi e intimi scatti in contesti di vita diversi, vengono “rivisitate”, arricchite di un’“intrusa”, la giovane artista -  coetanea della madre, nella enigmatica illusione dell’arte -  ritratta sempre con lo sguardo amorevolmente rivolto verso la madre, in atteggiamento di ricerca affannosa ma discreta, supplice eppure timida. Un rammendo delle immagini per curare l’anima, un “fotomontaggio” che è in realtà ricostruzione, reinvenzione dei ricordi indelebili e dei momenti di vita, in un nostalgico e dolcissimo, biunivoco, “ti sono accanto”.

Ci hanno infine mostrato le immagini del fotografo Raphael Minkkinen, che attraverso i ritratti del suo corpo nudo, immerso nella natura, cura da sempre la sua solitudine, anzi, fa della sua solitudine un’identità possibile, un ritrovarsi, terra nella terra, luce nella luce.

Nel dialogo con le psicologhe, gli artisti trovano gli elementi biografici che le opere portano dentro e per chi legge il libro, è possibile intuire come l’arte è certamente un lavoro di cura, di sutura, di tessitura, di rammendo esistenziale, così come lo è forse ogni attività creativa ma persino ogni vita vissuta.

Nel loro setting professionale, a volte, le colleghe usano l’immagine, il Photolangage, o altre tecniche, per avvicinare il mondo interno dei pazienti.

Il dott. Arrighi, invece, è un appassionato, un “forsennato” del cinema e insieme del lavoro di Jung.

Il suo testo, il suo uso del materiale cinematografico non riguarda l’immagine in senso stretto, ma riguarda “l’immaginario”, nel senso delle “storie”, dei “miti”, dei racconti o delle epopee che il cinema racconta.

Arrighi guarda i film, li presenta, li smonta, li illustra, li prescrive persino, o li accoglie nel setting analitico, se raccontati dall’analizzante, allo stesso modo in cui egli può lavorare un sogno, in modo da individuare dentro questi racconti, il rapporto con l’inconscio di chi racconta, di chi associa.

In particolare, in questo testo, egli analizza e approfondisce il tema del rapporto con il male, con la questione etica in generale.

Negli oltre ottanta film che egli cita nel libro, il filo rosso che ci conduce e ci permette di districarci, è il rapporto dei protagonisti con ciò che amano o che odiano, con il destino cui cercano di sfuggire in ogni modo, o con quello che considerano il sommo bene, al quale si sacrificano, si votano, si consegnano eroicamente o parossisticamente. Il male assoluto e il bene assoluto, ci dice Arrighi, sono molto vicini. Solo il dubbio, l’incertezza, la capacità di tenere insieme le nostre ombre, ci possono aiutare a individuare un percorso evolutivo. Ogni causa, anche la più nobile, porta con sé i suoi eccessi, e ciò che noi trascuriamo, ciò che non ci attira, quelle attività nelle quali ci sentiamo goffi e poco preparati, sono quelle in cui si cela per noi la risorsa, la possibilità evolutiva, che spesso trascuriamo.

Dunque, Arrighi invita i suoi pazienti a indicargli i film che hanno amato. Ma non tanto su un piano estetico o intellettuale. Quali i film che ci hanno fatto versare lacrime, magari inaspettatamente. Quali quelli di cui non riuscivamo a liberarci, dopo averli visti, e che abbiamo voluto rivedere, rivisitare. Quali i personaggi che più ci hanno spaventato, e quali quelli che abbiamo profondamente amato. Anche questo viaggio, dentro le soluzioni scelte e quelle trascurate, è uno dei tanti modi possibili per facilitare il viaggio verso il nostro mondo interno.

Nota: Si segnala questa bellissima e molto completa intervista alle autrici di “Oltre l’immagine”.

http://www.rimlight.it/articoli/oltre-limmagine/
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