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Parere conservazione test e dematerializzazione
Il quesito
E’ stato chiesto di indicare se e quali siano le regole di conservazione di materiali cartacei utilizzati dallo psicologo all’esito della somministrazione dei test, prove grafiche etc.
La vicenda, originata dal quesito di un neuropsicologo, fa seguito alla richiesta della Direzione sanitaria di un’ASST secondo la quale “tali supporti devono essere dematerializzati e si deve conservare solo il referto”.
La conservazione dei test e degli altri documenti sopra indicati segue regole diverse per i settore pubblico e il settore privato.
Regole di conservazione nel settore privato
I documenti formati dallo Psicologo libero professionista (appunti, esiti test, prove grafiche, relazioni) rappresentano un promemoria privato dell’attività svolta.
Le prove grafiche, i test o altro materiale cartaceo sono preziosi e sono raccolti e custoditi nella cartella del paziente.
Questo materiale viene inserito nel “diario clinico” o “fascicolo personale”, indicato nella prassi “cartella clinica psicologica” che non costituisce un documento formale, ma soltanto uno strumento ad uso esclusivo del professionista, per facilitare e rendere più agevole la conduzione del lavoro psicologico e/o terapeutico.
Non vi sono norme che impongano allo psicologo libero professionista di conservare in una "cartella clinica privata" dei propri pazienti ed eventuale documentazione cartacea (test, prove grafiche).
L’art. 17 del Codice Deontologico prevede che la documentazione raccolta dal professionista (sintetica o analitica, con o senza allegati), cartacea o informatica, debba essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche.
Il garante per la protezione dei dati personali con riguardo all’ attività dei medici – mancano pareri per gli Psicologi - ha stabilito che la documentazione acquisita per effettuare la prestazione sanitaria (ad es. le fotografie scattate ai fini di interventi chirurgici) costituisce un dato personali di proprietà del paziente che può chiedere, e ottenerne, l’acquisizione.
La conservazione da parte del professionista è possibile solo previa autorizzazione del paziente – di norma una simile previsione è inserita nel modulo del consenso informato - in assenza della quale la stessa deve essere distrutta, a meno che non sia richiesta e restituita.
Secondo il d.lgs 196/03 tutti i documenti acquisiti dal sanitario vanno conservati, con scrupolose garanzie “per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati” (art. 11 comma 1 lett. e).
Terminato il trattamento, nessun dato può essere più utilizzato, fatta salva l'eventuale custodia e conservazione del documento che li contiene, oltre che per le ragioni sopra richiamate, per scopi storici, statistici o scientifici.
Indipendentemente da quanto prescritto dall’art. 17 C.D., questa documentazione va conservata fino a che permanga una “finalità”, uno scopo collegato alla prestazione professionale svolta.
La cd. cartella clinica psicologica va anzitutto conservata quale prova dell’esatto adempimento e della idonea diligenza professionale rispetto la prestazione commissionata.
Posto che le azioni relative alle obbligazioni contrattuali ex art. 2236 cod. civ. per responsabilità professionale si prescrivono in 10 anni, l’interesse giuridico a conservare tali dati è di almeno 10 anni.
La conservazione della documentazione clinica costituisce, in ogni caso, una buona prassi poiché in ipotesi di contestazione, la mancanza di tale documentazione si configurerà come elemento di prova negativo a carico dello Psicologo, su quale incombe l’onere di provare di aver operato secondo i criteri di diligenza indicati nell’art. 1176 c.c.
In conclusione, pur in assenza di obbligo giuridico, è consigliabile conservare la documentazione clinica oltre il limite dei cinque anni indicati dall’art. 17 del C.D. e, per l’esattezza, per almeno dieci anni perché questo è il termine per la prescrizione dell’azione di risarcimento del danno per responsabilità professionale.
Regole di conservazione nel settore pubblico
Non esiste una definizione normativa di cartella clinica.
La cartella clinica è la raccolta di informazioni relative ai singoli pazienti compilata dal professionista sanitario. La storia della cartella clinica è lunghissima: già nell’età paleolitica in alcune caverne della Spagna sono stati trovati in alcuni graffiti tracce emblematiche di cartelle cliniche, così nell’era delle Piramidi nel 3000-2000 a.C. ci fu che si occupò di registrare l’ attività sanitaria; ai tempi di Ippocrate negli Asclepei, templi ospedale, furono trovate colonne scolpite con nomi di pazienti e brevi storie delle loro affezioni e,infine, nella Roma antiche Galeno fondò la sua scuola sulla casistica con pubblicazioni dei resoconti medici nei Romana Acta Diurna affissi nel foro.
Il principale riferimento normativo è l’art. 7 del DPR 128/69 che pone a carico del Primario la regolare tenuta delle cartelle cliniche e la conservazione sino alla consegna all’archivio centrale, di cui è responsabile la Direzione sanitaria.
La cartella clinica è lo strumento informativo individuale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche (Ministero della Sanità, 1992).
Si tratta di uno strumento elaborato in ambito medico, di cui porta il retaggio: rappresenta l’espressione di una cultura diagnostica, tesa ad inquadrare i pazienti in un preciso quadro nosografico ed eziologico, per individuare una terapia opportuna.
Si tratta di un atto pubblico, redatto da un soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) che consente la verifica dell’effettività e appropriatezza delle prestazioni (ai fini della responsabilità ai fini della valorizzazione del drg, in caso di contestazioni o indagini giudiziarie) nonché della qualità delle stesse.
Secondo la giurisprudenza (TAR della Sicilia Sez. IV, sent. 7/5/09 n. 879), la documentazione contenuta nella cartella clinica rientra nell’amplissima nozione di “documento amministrativo” di cui alla lettera d) dell’articolo 22 della Legge 241/1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera.
Il “documento amministrativo” è definito dall’art. 22 della L.241/90:
"ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
In base a questa norma rientrano tra i documenti amministrativi di natura sanitaria:
. i "certificati”;
. i "referti".
Documenti di significato e valore diverso. Referto, dal latino medievale refertum, neutro sostantivato del participio passato di referre “riferire” è “il fatto di riferire”, ma anche “quanto si riferisce”, cioè un resoconto. Il referto è la comunicazione che il sanitario è tenuto a presentare all’Autorità giudiziaria per aver prestato opera o assistenza in casi che possano presentare caratteri di un delitto. Si definisce referto (di laboratorio, radiologico, elettrocardiografico, elettroencefalografico, ecc.) anche ogni relazione scritta rilasciata dal sanitario che ha sottoposto un paziente a un esame strumentale. Nella nozione di referto possono certamente rientrare le prove grafiche, i test somministrati, le relazioni e gli strumenti, cartacei o informatici, utilizzati per la valutazione neuropsicologica.
Secondo la terminologia contenuta nel Codice dell’Amministrazione Digitale D.Lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, la rappresentazione di atti ,fatti o dati giuridicamente rilevanti può essere analogica o informatica.
Di regola si fa coincidere, per esigenze pratiche di gestione dei documenti, il concetto di documento informatico con il documento registrato su supporto elettronico e quello di documento analogico con il documento su supporto cartaceo.
Per ragioni sistematiche va qui fatto cenno al fascicolo sanitario elettronico, introdotto in Lombardia dalla L.R.e 31 luglio 2007 n. 18. Questo documento informatico contiene l’insieme dei dati e dei documenti digitali sanitari e socio-sanitari, relativi a eventi clinici del paziente, prodotti da medici e da personale abilitato anche di strutture diverse. In ambito nazionale il fascicolo sanitario elettronico è stato introdotto su scala nazionale dal comma 1 dell’articolo 12 del Decreto Legge 179 del 18 ottobre 2012 convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Il fascicolo sanitario elettronico è un documento diverso dalla cartella clinica, con confini sono più ampi in quanto le informazioni ivi contenute possono essere condivise con altri operatori del contesto sanitario.
In Lombardia l’elaborazione della cartella clinica è stata oggetto di vari atti amministrativi tra i quali si segnalano
- il Manuale della Cartella Clinica di Regione Lombardia - DG Sanità, II Ed., approvato con Decreto del Direttore Generale della Sanità di Regione Lombardia del 26/6/2008;
- la DGR n. 1323 del 16.02.2011 “Determinazioni in ordine ad iniziative volte al miglioramento della gestione della documentazione sanitaria”, che fornisce un’interpretazione più ampia di cartella clinica nell’allegato “Manuale della Documentazione Sanitaria”, composto di due sezioni “Documentazione relativa all’attività ambulatoriale specialistica”; “Documentazione relativa all’attività territoriale”;
- la DGR n. 4659 del 9.1.2013 e la DGR n. 325 del 27/6/2013 contengono un nuovo “Manuale di gestione della Documentazione Sanitaria e Socio Sanitaria”;
- la DGR n. 5647 del 3.10.2016 ha approvato le “linee guida per la gestione della documentazione socio-sanitaria degli enti del servizio sociosanitario lombardo, a seguito delle modifiche introdotte dalla l.r. n. 23/2015”.
La Regione Lombardia ha, inoltre, disciplinato in modo dettagliato la cartella clinica elettronica identificata come un insieme di oggetti, costituiti da documenti informatici, legati allo stesso episodio di ricovero o percorso di cura ambulatoriale, correlati logicamente tra loro attraverso uno o più indici informatici degli oggetti componenti la cartella.
Nessuno di questi documenti (delibere regionali sulla cartella clinica, fascicolo sanitario elettronico, cartella clinica elettronica) fa riferimento alla cartella clinica psicologica , mentre qualche delibera fa menzione della (Regione Lombardia DGR n° VIII/3111 del 1.8.2006).
Nella cartella clinica o altro fascicolo comunque denominato, devono essere inseriti i test e gli atti di valutazione del neuropsicologo che descrivono il profilo cognitivo che coinvolge le funzioni esecutive, logico-deduttive e logico-operative e l’aspetto neuro-comportamentale. Infatti, tutti questi strumenti diagnostici costituiscono documenti amministrativi di natura sanitaria in forma cartacea (art. 22 L.241/90) per i quali trovano applicazione le regole e i principi di custodi, conservazione e accesso previsti dalle norme vigenti.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale approvato con D.lgs. 82/2005 che, ha prescritto l’onere della dematerializzazione o conservazione sostitutiva dei documenti amministrativi , all’articolo 42 dispone che le pubbliche amministrazioni devono valutare, in termini di rapporto tra costi e benefici, il “recupero” su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei dei quali sia obbligatoria o opportuna la conservazione.
Questo recupero può avvenire attraverso la digitalizzazione, con scanner, dell’originale analogico che andrà inserito in cartella.
Gli originali di questi documenti (test, prove scritte, etc.) devono essere conservati nell’archivio storico dell’azienda: non si tratta degli unici documenti che nascono con originale cartaceo, perché qualsiasi azienda sanitaria acquisisce e deve conservare documenti originali cartacei (si pensi ad es. al modulo del consenso che, in forma cartacea, viene firmato dai pazienti, oppure alla documentazione cartacea prodotta ai sanitari dai pazienti che provengono da altre Regioni o Stati sprovvisti di digitalizzazione).
La Regione Lombardia in materia di dematerializzazione della documentazione sanitaria e relative modalità di conservazione all’interno del Sistema Informativo Socio Sanitario regionale, ha emanato nel 2013 l’aggiornamento delle Linee Guida Regionali per la Dematerializzazione dei Documenti Clinici nell’ambito del progetto CRS-SISS. Il p.to. 4.5.3. delle Linee guida prevede la conservazione del diario clinico, diario infermieristico e i diari di altre figure professionali diverse da quella medica od infermieristica (quali ad esempio fisioterapisti e terapisti riabilitativi, ostetriche, etc.) contenenti qualsiasi informazione di particolare rilievo.
Ciò vuol dire che tutti gli elementi acquisiti dal sanitario, ivi compresi i test , le prove grafiche o altri strumenti di valutazione dei pazienti se formati su un originale cartaceo possono essere digitalizzati ma poiché contengono “informazioni di particolare rilievo” vanno conservate e custodite dall’ azienda sanitaria.
Queste Linee guida sono state declinate dalle varie ASST mediante contratti con società informatiche i cui software devono garantire l’annotazione e l’acquisizione di tutti i documenti amministrativi sanitari, tra i quali vanno ricomprese le valutazioni neuropsicologiche.
A questo proposito va ricordato che già nella DGR del 2013 l’obiettivo futuro di gestione dell’intera documentazione afferente alla cartella clinica in maniera elettronica presuppone che si acquisisca “[…] tramite scanner (o altri strumenti idonei all’acquisizione ottica di immagini, n.d.r) l’intera documentazione cartacea afferente alla cartella clinica che non possa essere informatizzata (ad es. consensi informati e referti cartacei di strutture sanitarie terze) […]”.
Conclusioni
. Nel settore privato non esistono regole prescrittive rigide e vincolanti sulle modalità e tipologia di conservazione dei test psicologici ed altri documenti di valutazione clinica formati sul cartaceo, salvo il rispetto delle regole del Codice della privacy;
. nel settore pubblico (analoghe regole valgono per gli enti privati accreditati) le regole sono diverse e più stringenti: i test psicologici o le valutazioni neuropsicologiche sono classificati giuridicamente “documentazione sanitaria amministrativa”, vale a dire atti che l’ASST ha l’ obbligo di custodire e conservare. Non è, pertanto, corretta la pretesa della Direzione Sanitaria secondo la quale “tali supporti devono essere dematerializzati e si deve conservare solo il referto”, perché costituiscono parte integrante del referto ovvero degli strumenti d’ indagine ad esso sottesi. Non vi è dubbio che tali documenti possano essere dematerializzati e possano essere trasferiti nella cartelle cliniche elettroniche con una modalità di acquisizione semplificata (digitalizzazione dell’originale cartaceo) e l’inserimento in cartella, come previsto da quasi tutti i software in uso nelle diverse ASST/ATS, fermo restando che gli originali cartacei vanno custoditi e conservati per almeno 40 anni nell’archivio storico, la cui tenuta è nella responsabilità del Direttore Sanitario. Qualora venissero sollevati problemi tecnici e il responsabile IT aziendale non fosse in grado o non volesse creare questo sezionale, Lombardia Informatica, società regionale che ha predisposto le linee guida per la cartella clinica elettronica, ha messo a disposizione i propri tecnici per sviluppare, ovvero coadiuvare l’IT nell’adattamento del software aziendale in uso, il modulo di acquisizione di immagini.
E’ stato chiesto di indicare se e quali siano le regole di conservazione di materiali cartacei utilizzati dallo psicologo all’esito della somministrazione dei test, prove grafiche etc.
La vicenda, originata dal quesito di un neuropsicologo, fa seguito alla richiesta della Direzione sanitaria di un’ASST secondo la quale “tali supporti devono essere dematerializzati e si deve conservare solo il referto”.
La conservazione dei test e degli altri documenti sopra indicati segue regole diverse per i settore pubblico e il settore privato.
Regole di conservazione nel settore privato
I documenti formati dallo Psicologo libero professionista (appunti, esiti test, prove grafiche, relazioni) rappresentano un promemoria privato dell’attività svolta.
Le prove grafiche, i test o altro materiale cartaceo sono preziosi e sono raccolti e custoditi nella cartella del paziente.
Questo materiale viene inserito nel “diario clinico” o “fascicolo personale”, indicato nella prassi “cartella clinica psicologica” che non costituisce un documento formale, ma soltanto uno strumento ad uso esclusivo del professionista, per facilitare e rendere più agevole la conduzione del lavoro psicologico e/o terapeutico.
Non vi sono norme che impongano allo psicologo libero professionista di conservare in una "cartella clinica privata" dei propri pazienti ed eventuale documentazione cartacea (test, prove grafiche).
L’art. 17 del Codice Deontologico prevede che la documentazione raccolta dal professionista (sintetica o analitica, con o senza allegati), cartacea o informatica, debba essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche.
Il garante per la protezione dei dati personali con riguardo all’ attività dei medici – mancano pareri per gli Psicologi - ha stabilito che la documentazione acquisita per effettuare la prestazione sanitaria (ad es. le fotografie scattate ai fini di interventi chirurgici) costituisce un dato personali di proprietà del paziente che può chiedere, e ottenerne, l’acquisizione.
La conservazione da parte del professionista è possibile solo previa autorizzazione del paziente – di norma una simile previsione è inserita nel modulo del consenso informato - in assenza della quale la stessa deve essere distrutta, a meno che non sia richiesta e restituita.
Secondo il d.lgs 196/03 tutti i documenti acquisiti dal sanitario vanno conservati, con scrupolose garanzie “per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati” (art. 11 comma 1 lett. e).
Terminato il trattamento, nessun dato può essere più utilizzato, fatta salva l'eventuale custodia e conservazione del documento che li contiene, oltre che per le ragioni sopra richiamate, per scopi storici, statistici o scientifici.
Indipendentemente da quanto prescritto dall’art. 17 C.D., questa documentazione va conservata fino a che permanga una “finalità”, uno scopo collegato alla prestazione professionale svolta.
La cd. cartella clinica psicologica va anzitutto conservata quale prova dell’esatto adempimento e della idonea diligenza professionale rispetto la prestazione commissionata.
Posto che le azioni relative alle obbligazioni contrattuali ex art. 2236 cod. civ. per responsabilità professionale si prescrivono in 10 anni, l’interesse giuridico a conservare tali dati è di almeno 10 anni.
La conservazione della documentazione clinica costituisce, in ogni caso, una buona prassi poiché in ipotesi di contestazione, la mancanza di tale documentazione si configurerà come elemento di prova negativo a carico dello Psicologo, su quale incombe l’onere di provare di aver operato secondo i criteri di diligenza indicati nell’art. 1176 c.c.
In conclusione, pur in assenza di obbligo giuridico, è consigliabile conservare la documentazione clinica oltre il limite dei cinque anni indicati dall’art. 17 del C.D. e, per l’esattezza, per almeno dieci anni perché questo è il termine per la prescrizione dell’azione di risarcimento del danno per responsabilità professionale.
Regole di conservazione nel settore pubblico
Non esiste una definizione normativa di cartella clinica.
La cartella clinica è la raccolta di informazioni relative ai singoli pazienti compilata dal professionista sanitario. La storia della cartella clinica è lunghissima: già nell’età paleolitica in alcune caverne della Spagna sono stati trovati in alcuni graffiti tracce emblematiche di cartelle cliniche, così nell’era delle Piramidi nel 3000-2000 a.C. ci fu che si occupò di registrare l’ attività sanitaria; ai tempi di Ippocrate negli Asclepei, templi ospedale, furono trovate colonne scolpite con nomi di pazienti e brevi storie delle loro affezioni e,infine, nella Roma antiche Galeno fondò la sua scuola sulla casistica con pubblicazioni dei resoconti medici nei Romana Acta Diurna affissi nel foro.
Il principale riferimento normativo è l’art. 7 del DPR 128/69 che pone a carico del Primario la regolare tenuta delle cartelle cliniche e la conservazione sino alla consegna all’archivio centrale, di cui è responsabile la Direzione sanitaria.
La cartella clinica è lo strumento informativo individuale finalizzato a rilevare tutte le informazioni anagrafiche e cliniche (Ministero della Sanità, 1992).
Si tratta di uno strumento elaborato in ambito medico, di cui porta il retaggio: rappresenta l’espressione di una cultura diagnostica, tesa ad inquadrare i pazienti in un preciso quadro nosografico ed eziologico, per individuare una terapia opportuna.
Si tratta di un atto pubblico, redatto da un soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) che consente la verifica dell’effettività e appropriatezza delle prestazioni (ai fini della responsabilità ai fini della valorizzazione del drg, in caso di contestazioni o indagini giudiziarie) nonché della qualità delle stesse.
Secondo la giurisprudenza (TAR della Sicilia Sez. IV, sent. 7/5/09 n. 879), la documentazione contenuta nella cartella clinica rientra nell’amplissima nozione di “documento amministrativo” di cui alla lettera d) dell’articolo 22 della Legge 241/1990, trattandosi di atti interni detenuti dalla struttura ospedaliera.
Il “documento amministrativo” è definito dall’art. 22 della L.241/90:
"ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
In base a questa norma rientrano tra i documenti amministrativi di natura sanitaria:
. i "certificati”;
. i "referti".
Documenti di significato e valore diverso. Referto, dal latino medievale refertum, neutro sostantivato del participio passato di referre “riferire” è “il fatto di riferire”, ma anche “quanto si riferisce”, cioè un resoconto. Il referto è la comunicazione che il sanitario è tenuto a presentare all’Autorità giudiziaria per aver prestato opera o assistenza in casi che possano presentare caratteri di un delitto. Si definisce referto (di laboratorio, radiologico, elettrocardiografico, elettroencefalografico, ecc.) anche ogni relazione scritta rilasciata dal sanitario che ha sottoposto un paziente a un esame strumentale. Nella nozione di referto possono certamente rientrare le prove grafiche, i test somministrati, le relazioni e gli strumenti, cartacei o informatici, utilizzati per la valutazione neuropsicologica.
Secondo la terminologia contenuta nel Codice dell’Amministrazione Digitale D.Lgs. n. 82 del 7 marzo 2005, la rappresentazione di atti ,fatti o dati giuridicamente rilevanti può essere analogica o informatica.
Di regola si fa coincidere, per esigenze pratiche di gestione dei documenti, il concetto di documento informatico con il documento registrato su supporto elettronico e quello di documento analogico con il documento su supporto cartaceo.
Per ragioni sistematiche va qui fatto cenno al fascicolo sanitario elettronico, introdotto in Lombardia dalla L.R.e 31 luglio 2007 n. 18. Questo documento informatico contiene l’insieme dei dati e dei documenti digitali sanitari e socio-sanitari, relativi a eventi clinici del paziente, prodotti da medici e da personale abilitato anche di strutture diverse. In ambito nazionale il fascicolo sanitario elettronico è stato introdotto su scala nazionale dal comma 1 dell’articolo 12 del Decreto Legge 179 del 18 ottobre 2012 convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221.
Il fascicolo sanitario elettronico è un documento diverso dalla cartella clinica, con confini sono più ampi in quanto le informazioni ivi contenute possono essere condivise con altri operatori del contesto sanitario.
In Lombardia l’elaborazione della cartella clinica è stata oggetto di vari atti amministrativi tra i quali si segnalano
- il Manuale della Cartella Clinica di Regione Lombardia - DG Sanità, II Ed., approvato con Decreto del Direttore Generale della Sanità di Regione Lombardia del 26/6/2008;
- la DGR n. 1323 del 16.02.2011 “Determinazioni in ordine ad iniziative volte al miglioramento della gestione della documentazione sanitaria”, che fornisce un’interpretazione più ampia di cartella clinica nell’allegato “Manuale della Documentazione Sanitaria”, composto di due sezioni “Documentazione relativa all’attività ambulatoriale specialistica”; “Documentazione relativa all’attività territoriale”;
- la DGR n. 4659 del 9.1.2013 e la DGR n. 325 del 27/6/2013 contengono un nuovo “Manuale di gestione della Documentazione Sanitaria e Socio Sanitaria”;
- la DGR n. 5647 del 3.10.2016 ha approvato le “linee guida per la gestione della documentazione socio-sanitaria degli enti del servizio sociosanitario lombardo, a seguito delle modifiche introdotte dalla l.r. n. 23/2015”.
La Regione Lombardia ha, inoltre, disciplinato in modo dettagliato la cartella clinica elettronica identificata come un insieme di oggetti, costituiti da documenti informatici, legati allo stesso episodio di ricovero o percorso di cura ambulatoriale, correlati logicamente tra loro attraverso uno o più indici informatici degli oggetti componenti la cartella.
Nessuno di questi documenti (delibere regionali sulla cartella clinica, fascicolo sanitario elettronico, cartella clinica elettronica) fa riferimento alla cartella clinica psicologica , mentre qualche delibera fa menzione della (Regione Lombardia DGR n° VIII/3111 del 1.8.2006).
Nella cartella clinica o altro fascicolo comunque denominato, devono essere inseriti i test e gli atti di valutazione del neuropsicologo che descrivono il profilo cognitivo che coinvolge le funzioni esecutive, logico-deduttive e logico-operative e l’aspetto neuro-comportamentale. Infatti, tutti questi strumenti diagnostici costituiscono documenti amministrativi di natura sanitaria in forma cartacea (art. 22 L.241/90) per i quali trovano applicazione le regole e i principi di custodi, conservazione e accesso previsti dalle norme vigenti.
Il Codice dell’Amministrazione Digitale approvato con D.lgs. 82/2005 che, ha prescritto l’onere della dematerializzazione o conservazione sostitutiva dei documenti amministrativi , all’articolo 42 dispone che le pubbliche amministrazioni devono valutare, in termini di rapporto tra costi e benefici, il “recupero” su supporto informatico dei documenti e degli atti cartacei dei quali sia obbligatoria o opportuna la conservazione.
Questo recupero può avvenire attraverso la digitalizzazione, con scanner, dell’originale analogico che andrà inserito in cartella.
Gli originali di questi documenti (test, prove scritte, etc.) devono essere conservati nell’archivio storico dell’azienda: non si tratta degli unici documenti che nascono con originale cartaceo, perché qualsiasi azienda sanitaria acquisisce e deve conservare documenti originali cartacei (si pensi ad es. al modulo del consenso che, in forma cartacea, viene firmato dai pazienti, oppure alla documentazione cartacea prodotta ai sanitari dai pazienti che provengono da altre Regioni o Stati sprovvisti di digitalizzazione).
La Regione Lombardia in materia di dematerializzazione della documentazione sanitaria e relative modalità di conservazione all’interno del Sistema Informativo Socio Sanitario regionale, ha emanato nel 2013 l’aggiornamento delle Linee Guida Regionali per la Dematerializzazione dei Documenti Clinici nell’ambito del progetto CRS-SISS. Il p.to. 4.5.3. delle Linee guida prevede la conservazione del diario clinico, diario infermieristico e i diari di altre figure professionali diverse da quella medica od infermieristica (quali ad esempio fisioterapisti e terapisti riabilitativi, ostetriche, etc.) contenenti qualsiasi informazione di particolare rilievo.
Ciò vuol dire che tutti gli elementi acquisiti dal sanitario, ivi compresi i test , le prove grafiche o altri strumenti di valutazione dei pazienti se formati su un originale cartaceo possono essere digitalizzati ma poiché contengono “informazioni di particolare rilievo” vanno conservate e custodite dall’ azienda sanitaria.
Queste Linee guida sono state declinate dalle varie ASST mediante contratti con società informatiche i cui software devono garantire l’annotazione e l’acquisizione di tutti i documenti amministrativi sanitari, tra i quali vanno ricomprese le valutazioni neuropsicologiche.
A questo proposito va ricordato che già nella DGR del 2013 l’obiettivo futuro di gestione dell’intera documentazione afferente alla cartella clinica in maniera elettronica presuppone che si acquisisca “[…] tramite scanner (o altri strumenti idonei all’acquisizione ottica di immagini, n.d.r) l’intera documentazione cartacea afferente alla cartella clinica che non possa essere informatizzata (ad es. consensi informati e referti cartacei di strutture sanitarie terze) […]”.
Conclusioni
. Nel settore privato non esistono regole prescrittive rigide e vincolanti sulle modalità e tipologia di conservazione dei test psicologici ed altri documenti di valutazione clinica formati sul cartaceo, salvo il rispetto delle regole del Codice della privacy;
. nel settore pubblico (analoghe regole valgono per gli enti privati accreditati) le regole sono diverse e più stringenti: i test psicologici o le valutazioni neuropsicologiche sono classificati giuridicamente “documentazione sanitaria amministrativa”, vale a dire atti che l’ASST ha l’ obbligo di custodire e conservare. Non è, pertanto, corretta la pretesa della Direzione Sanitaria secondo la quale “tali supporti devono essere dematerializzati e si deve conservare solo il referto”, perché costituiscono parte integrante del referto ovvero degli strumenti d’ indagine ad esso sottesi. Non vi è dubbio che tali documenti possano essere dematerializzati e possano essere trasferiti nella cartelle cliniche elettroniche con una modalità di acquisizione semplificata (digitalizzazione dell’originale cartaceo) e l’inserimento in cartella, come previsto da quasi tutti i software in uso nelle diverse ASST/ATS, fermo restando che gli originali cartacei vanno custoditi e conservati per almeno 40 anni nell’archivio storico, la cui tenuta è nella responsabilità del Direttore Sanitario. Qualora venissero sollevati problemi tecnici e il responsabile IT aziendale non fosse in grado o non volesse creare questo sezionale, Lombardia Informatica, società regionale che ha predisposto le linee guida per la cartella clinica elettronica, ha messo a disposizione i propri tecnici per sviluppare, ovvero coadiuvare l’IT nell’adattamento del software aziendale in uso, il modulo di acquisizione di immagini.
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