NAN GOLDIN
per la psicologia dei diritti umani dell'OPL
Washington 1953
Nan Goldin è una delle artiste-fotografe più influenti nell’ambito sia della fotografia che dell’arte, con una poetica fortemente impegnata a indagare e sostenere i diritti umani e, soprattutto, quelli delle comunità LGBTQ, cui ha dedicato interi cicli di opere, indagando sia la loro dimensione pubblica che privata. Il suo operare è per un’idea dell’arte non disgiunta dalla vita. Goldin è anche un’attivista sempre in prima linea nella difesa delle cause sociali attraverso l’associazione Act-Up. La sua opera fotografica è una sorta di diario pubblico-privato, che conserva la qualità dell’album di famiglia sia per i soggetti scelti che per tecnica esecutiva, fattori che ci portano ad avere nei confronti delle sue fotografie una certa familiarità anche se le vediamo per la prima volta. Si tratta di un approccio domestico alle immagini apparentemente rubate, in cui i soggetti appaiono sempre colti di sorpresa. Per questo la qualità è quella di un reportage intimistico che ha influenzato intere generazione di giovani artisti. La Goldin, con la carica del suo sguardo-verità intimo e personale, ci porta a osservare la parte intima e trasgressiva della tempesta della vita. Per l’artista le immagini hanno potere e potenza e sono pertanto utili alla denuncia della condizione umana. Mondialmente noti sono soprattutto i cicli dedicati alle problematiche vita-morte, nella serie di opere che indagano a 360 gradi il mondo LGBTQ nei momenti di intimità durante il periodo dell’AIDS e dell’uso smisurato degli oppiacei come The Ballad of Sexual Dependency, 1986, che documenta la sottocultura gay dopo Stoneweall, o quelle del corpus Polvere di stelle in cui sono protagoniste le Drag Queens, vero e proprio campo di sperimentazione dagli inizi degli anni ‘70 fino ai ‘90. Queste opere sono vere e proprie icone della cultura underground al limite della provocazione, capaci di toccare le corde degli addetti ai lavori dell’arte contemporanea come quelle del grande pubblico. Sono foto di alta qualità estetica, etica e morale, che hanno conquistato musei e manifestazioni artistiche tra le più importanti come la più recente mostra al Metropolitan Museum a cavallo tra 2018-2019. Sono opere in cui da ogni pixel, pori dell’immagine nascosta della fotografia, traspare la carica attiva della difesa dei diritti alla libertà di genere e sesso, dove, senza nessun voyerismo, si esprime la carica di sentimento di umanità che le ha valso la consacrazione di Commendatore delle Arti e delle Lettere da parte del Governo francese.
Nan Goldin è una delle artiste-fotografe più influenti nell’ambito sia della fotografia che dell’arte, con una poetica fortemente impegnata a indagare e sostenere i diritti umani e, soprattutto, quelli delle comunità LGBTQ, cui ha dedicato interi cicli di opere, indagando sia la loro dimensione pubblica che privata. Il suo operare è per un’idea dell’arte non disgiunta dalla vita. Goldin è anche un’attivista sempre in prima linea nella difesa delle cause sociali attraverso l’associazione Act-Up. La sua opera fotografica è una sorta di diario pubblico-privato, che conserva la qualità dell’album di famiglia sia per i soggetti scelti che per tecnica esecutiva, fattori che ci portano ad avere nei confronti delle sue fotografie una certa familiarità anche se le vediamo per la prima volta. Si tratta di un approccio domestico alle immagini apparentemente rubate, in cui i soggetti appaiono sempre colti di sorpresa. Per questo la qualità è quella di un reportage intimistico che ha influenzato intere generazione di giovani artisti. La Goldin, con la carica del suo sguardo-verità intimo e personale, ci porta a osservare la parte intima e trasgressiva della tempesta della vita. Per l’artista le immagini hanno potere e potenza e sono pertanto utili alla denuncia della condizione umana. Mondialmente noti sono soprattutto i cicli dedicati alle problematiche vita-morte, nella serie di opere che indagano a 360 gradi il mondo LGBTQ nei momenti di intimità durante il periodo dell’AIDS e dell’uso smisurato degli oppiacei come The Ballad of Sexual Dependency, 1986, che documenta la sottocultura gay dopo Stoneweall, o quelle del corpus Polvere di stelle in cui sono protagoniste le Drag Queens, vero e proprio campo di sperimentazione dagli inizi degli anni ‘70 fino ai ‘90. Queste opere sono vere e proprie icone della cultura underground al limite della provocazione, capaci di toccare le corde degli addetti ai lavori dell’arte contemporanea come quelle del grande pubblico. Sono foto di alta qualità estetica, etica e morale, che hanno conquistato musei e manifestazioni artistiche tra le più importanti come la più recente mostra al Metropolitan Museum a cavallo tra 2018-2019. Sono opere in cui da ogni pixel, pori dell’immagine nascosta della fotografia, traspare la carica attiva della difesa dei diritti alla libertà di genere e sesso, dove, senza nessun voyerismo, si esprime la carica di sentimento di umanità che le ha valso la consacrazione di Commendatore delle Arti e delle Lettere da parte del Governo francese.
Nan Goldin, My favorite Drag
Boston, 1973 Courtesy dell’artista, Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, On the beach
Boston, 1973 Courtesy dell’artista, Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, Patrick and Teri on their wedding night
nyc, 1987 Courtesy dell’artista, Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, Trixi on the coat
nyc, 1991 Courtesy dell’artista, Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, Misty and Jimmy Paulette in a taxi
nyc, 1991 Courtesy dell’artista, Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, C and Yogo Putting on her makeup at Second Tip Bankgok, 1992, Courtesy dell’artista con Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
Nan Goldin, C and Yogo Putting on her makeup at Second Tip Bankgok, 1992, Courtesy dell’artista con Guido Costa Project Torino e Marian Goodman, New York
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